Classe ’80, nato e cresciuto a Taranto, fra l’acciaieria e le spiagge dorate. I ricordi della mia infanzia sono costellati di spensieratezza e tanta curiosità verso il mondo. Quando compii dieci anni, i miei genitori, dopo tante insistenze, mi regalarono un personal computer, di quelli che si vendevano allora per giocare ai videogiochi. In realtà, a me piaceva soprattutto scrivere dei programmi un po’ per gioco e un po’ per sfida. Era la fine degli anni ’80 e l’informatica iniziava a entrare in punta di piedi nelle case degli italiani. Quell’universo mi affascinò moltissimo e fu facile per me scegliere la strada. Mi diplomai prima come tecnico informaitico  e poi conseguì la laurea a pieni voti in ingegneria informatica al Politecnico di Bari.

Avevo venticinque anni e dovevo pensare che direzione dare alla mia vita. Fra le varie strade a disposizione, decisi alla fine di inserirmi il prima possibile nel mondo del lavoro. Cambiai negli anni diverse aziende di informatica, fino a quando, dopo un concorso, fui assunto in una grande azienda culturale italiana. Dovetti trasferirmi a Roma, città di cui mi innamorai molto presto. Mi piace molto scrivere e ad oggi ho pubblicato diversi libri di informatica, principialmente per un pubblico neofita. Appena ho un po’ di tempo, preparo lo zaino e parto verso una qualunque destazione. Mi piacciono le cose semplici e autentiche e vivo la mia vita seguendo uno stile sano e minimalista.

Un giorno, verso i miei vent’anni, notai in bibloteca un piccolo libro, che apparentemente sembrava molto consumato. Pensai quindi che fosse passato da molte mani e pertanto fui molto curioso di leggerlo. Lo presi in prestito, non sapendo che mi avrebbe cambiato la vita. Il libro è ‘Siddhartha’ di Hermann Hesse. Era così diverso dai tanti romanzi di fantascienza che ero solito leggere. Dietro una storia affascinante e coinvolgente, emergeva qualcosa che ignoravo completamente: la crescita personale e spirituale. Ne rimasi colpito e affascinato e da allora non mi sono più fermato, leggendo negli anni una moltitudine di libri sugli argomenti più disparati: salute, sport, finanza personale, benessere psicofisico, spiritualità, ecc., ma tutti legati all’esperienza più bella della vita, quella di crescere, migliorarsi e andare sempre oltre il nostro orizzonte, per vivere una vita appgante e di benessere.

Nel 2021, con l’intenzione di strutturare meglio tutte le conoscenze accumulate negli anni, ho deciso di iscrivermi al master triennale di Counseling Umanistico (spec. Filosofico) dell’Università Popolare di Scienze della Salute, Psicologiche e Sociali (UNIPSI). Terminato il master, mi iscrissi subito al relativo tirocinio.

Appena terminato il tirocinio in counseling ho deciso di iscrivermi ad un master in Life Coaching, alla scuola di Coaching Umanistico a Roma, diretta da Luca Stanchieri. Al termine del percorso mi sono graduato come Life Coach. Questo mi ha permesso di consolidare i principi fondamentali del counseling centrato sulla persona e di ampliarli con una formazione più improntata alle tecniche per il raggiungimento degli obiettivi del cliente, ma sempre in un’ottica di rispetto dei valori e della persona.

Quanto raccontato fin qui potrebbe sembrare a prima vista una vita ricca di tanta soddisfazione. In effetti lo è, ma i realtà esiste anche l’altra faccia della medaglia. Infatti, va detto che dietro tutto questo si nascondono sacrifici davvero enormi e una storia personale che finora conoceva solo la mia famiglia. Quellao che ci appare non rappresenta mai tutta la realtà; è il solito esempio della punta dell’iceberg. Il lato meno conosciuto della mia vita iniziò all’età di vent’anni e coincise col mio secondo anno di università, quando lentamente iniziai a provare una strana sofferenza interiore e un’ansia che mi attanagliava senza un particolare motivo. Cercai dentro e fuori di me la causa di questo malessere. Tutto però sembrava apparentemente in ordine, l’università procedeva bene, in famiglia e con gli amici filava tutto liscio. C’era sicuramente una causa, ma non capivo quale potesse essere.

Questo tormento diventava giorno dopo giorno sempre più forte e disabilitante, piangevo letteralmente sui libri per dare gli esami, mentre la notte non dormivo in preda all’angoscia. Di conseguenza, lo studio si era trasformato da un piacevole stimolo in una vera afflizione e piano piano diventava sempre più difficile. Dopo un anno il mio malessere divenne talmente forte che, spinto dalla mia famiglia, decisi di consultare uno psichiatra. Fino a quel momento, avevo cercato a tutti i costi di evitare quella che rappresentava per me una sconfitta e una cosa di cui vergognarsi, ossia rivolgersi a un medico che cura i malati di mente. Infatti, influenzato dall’opinione popolare, vedevo lo psichiatra come il dottore da cui andavano i pazzi e la sua figura mi intimoriva molto. Ero certo che rivolgersi a lui era da persone deboli. Ma non avevo scelta.

Pertanto, seppur con molto scetticismo, presi un appuntamento. Lo psichiatra, dopo avermi ascoltato attentamente, pronunciò la mia sentenza: depressione. Ero ancora più avvilito di prima, nonostante non sapessi niente a proposito. La depressione era un argomento fino ad allora completamente sconosciuto. Mi prescrisse senza troppi giri di parole delle strane medicine e alcune gocce.

Ovviamente dopo, come farebbe chiunque, mi informai molto su questa ‘cosa’ , lessi libri e feci molte ricerche. Imparai alcune cose mi sorpresero molto, come ad esempio che la depressione è un vera e propria malattia, alla pari del più noto diabete, e non un semplice atteggiamento pessimistico alla vita. Scoprì anche che, come tutte le malattie fisiologiche, non può essere curata con la ‘buona volontà’ o con una bella vacanza per distrarsi. E scoprì anche, fra il mio stupore, che l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, stima un’incidenza della depressione nella popolazione mondiale del 6%, decretandola una delle malattie più invalidanti in assoluto e che incide enormemente sul bilancio economico della Sanità.

C‘è tanta disinformazione sulla depressione e perfino un sottile timore a parlarne, come fosse un tabù. Credo che la confusione sia dovuta principalmente a un malinteso semantico, infatti le persone pronunciano spesso la parola depressione a sproposito, quando in realtà il loro intento è quello di indicare un sentimento di tristezza passeggero, di malinconia, di frustrazione o addirittura di noia. La depressione non è quella tristezza che ci pervade perché ci è morto il gatto (con tutto rispetto per gli animali) o quel senso fastidioso di sconfitta per aver preso un brutto voto a un esame. La depressione è ben altra cosa. È un senso di disperazione assoluto che permea tutta l’esistenza. È un vuoto esistenziale associato a una perdita di ogni forma di speranza. Capire bene questo sarebbe già un notevole passo in avanti.

Mi sono accorto che purtroppo c’è ancora molta gente che pensa che la depressione sia solo un capriccio e che si supera con un po’ di buona ‘forza di volontà’. Ma è proprio questo il problema: la malattia ti porta via ogni soffio di volontà dal tuo corpo, lasciandoti sfinito e abbattuto. Tuttavia, però, mi rendo anche perfettamente conto di quanto sia difficile spiegare cosa è la depressione a chi ha la fortuna di non averne mai avuto a che fare, direttamente o indirettamente.

La depressione è una malattia di cui si parla davvero poco rispetto alla sua enorme incidenza sulla popolazione, probabilmente perché ci terrorizza, perché sappiamo che può colpire chiunque senza distinzione di età, ruolo sociale, fama o ricchezza. Può piombare, senza averla scelta, da un momento all’altro nella vita, anche una vita ricca di successo, rendendotela un inferno.

Può capitare a chiunque un momento di difficoltà e sentirsi un attimo dopo perduti e senza speranza. Bisogna parlare apertamente e senza vergogna della nostra salute mentale. Questa è l’arma più efficace che abbiamo. Ad oggi sono decine di milioni i depressi nel mondo e questo numero è sempre più in crescita, come è in crescita l’uso di psicofarmaci e, purtroppo, di suicidi. È necessario, oggi più che mai, non aver timore di chiedere aiuto il prima possibile. Per fortuna adesso disponiamo di una ricca letteratura a riguardo e di numerosi e sempre più efficaci metodi per contrastarla.

Rispetto a qualche decina d’anni fa, oggi la situazione è diversa. Sono stati individuati tanti tipi di depressione, ognuno con le proprie sfumature e peculiarità e di conseguenza numerose terapie adatte e protocolli di cura. C’è sempre meno gente che va dagli psichiatri o dagli psicoterapeuti con vergogna, perché timorose di essere additate come pazzi. Io decisi di non parlare della mia sventura con nessuno. Ma ora mantenere questo riserbo non mi interessa più. Ho raggiunto uno stato di consepevolezza, grazie al quale non ho più vergogna di niente, né ho voglia di faticare per tenere nascosto quello che ho passato. Se tutto questo può aiutare un’altra persona, allora ben venga.

Non intendo qui annoiare nessuno con quello che ho dovuto affrontare in tutti questi anni, dalle visite a vari psichiatri e psicoterapeuti in giro per l’Italia, agli innumerevoli tentativi per stare meglio, come la meditazione, l’agopuntura, le diete, ecc. Dovrei parlare di tutte le volte che sono stato malissimo, di quando non uscvo di casa, di quando restavo a letto in preda all’ansia senza mangiare per giorni, ecc. Purtroppo, chi ci è passato sa bene di cosa parlo. Fortunatamente oggi ho ormai imparato a gestire il mio ‘cane nero’ (come la chiamava  Winston Churchill, un famoso depresso) e vivere una vita ‘normale’, come chiunque.

Nonostante tutto questo dolore, negli anni ho imparato a guardare il lato positivo di ogni cosa e, per quanto sia arduo trovarlo in tutto quello che ho passato, qualcosa di buono forse è uscito. Ho imparato sicuramente a conoscermi meglio e a percepire le mie emozioni. A rispettare i miei tempi e i miei sentimenti. Ho imparato ad ascoltare gli altri con autentica empatia, simpatia e compassione. Ho imparato a crescere e migliorarmi ogni giorno di più.

Ho imparato a sorridere sempre e a provare un profondo senso di gratitudine per il mondo e per la vita, per un fiore che mi colpisce, per il sorriso di un bambino, per l’ombra di un albero che mi ristora, per un libro o una canzone emozionante, per il caffè preso con gli amici al bar.

Ma soprattutto ho imparato a non sprecare nemmeno un giorno della mia vita, perché preziosa e irripetibile e perché finora ne ho persa inutilmente davvero troppa. Quello che ora desidero è aiutare chi è in difficoltà e sta vivendo un periodo negativo. Credo fermamente che per fare questo, oltre a degli studi adeguati, è necessaria anche un’esperienza di vita che ti porti a comprendere davvero e profondamente le altre persone.

Se vuoi sapere di più sulla depressione, puoi andare a questo link.

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La depressione spiegata da uno psichiatra, dott. Valerio Rosso.