Nel corso di un’indagine svolta dall’università del Wisconsin a Milwaukee, furono mostrate a delle ragazze alcune immagini che ritraevano le durissime condizioni di vita in quella città all’inizio del secolo e si chiese loro di immaginare e poi descrivere cosa volesse dire affrontare esperienze terribili come quella di rimanere ustionati o sfigurati. Dopo l’esercizio, le ragazze furono invitate a valutare la qualità della loro vita. Emerse chiaramente che la loro soddisfazione per l’esistenza che conducevano risultò aumentata. In un altro esperimento condotto presso l’università statale di New York a Buffalo, ai volontari fu chiesto di completare la frase: «Sono contento di non essere un…». Dopo alcuni di questi esercizi, i soggetti registrarono un netto aumento del senso di soddisfazione per la loro vita. Ma c’è dell’altro, nel gruppo che fu invece invitato a completare la frase: «Vorrei essere un…» si rilevò, dopo la prova, una maggiore scontentezza.
Tali indagini, che dimostrano come possiamo sentirci più o meno soddisfatti della nostra esistenza cambiando prospettiva, indicano chiaramente quale ruolo dominante abbia l’ottica mentale nella nostra percezione della felicità. «Anche se è possibile raggiungerla, la felicità non è una cosa semplice» spiegò il Dalai Lama. «Esistono molti livelli. Nel buddhismo, per esempio, si fa riferimento ai quattro fattori dell’appagamento, o felicità: la ricchezza, la soddisfazione terrena, la spiritualità e l’illuminazione. Assieme, essi abbracciano tutta la ricerca della felicità nell’individuo. «Lasciamo per un attimo da parte le massime aspirazioni religiose o spirituali, come la perfezione e l’illuminazione, e prendiamo in esame la gioia e la felicità nel loro senso quotidiano o terreno. All’interno di tale contesto, vi sono senza dubbio elementi chiave che per tradizione riconosciamo essenziali alla letizia. La salute è considerata per esempio uno dei fattori indispensabili a una vita felice. Un altro elemento che riteniamo fonte di felicità sono i mezzi materiali, la ricchezza che accumuliamo. Un altro ancora è la presenza di amici o compagni. Tutti sappiamo che, per godere di una vita soddisfacente, abbiamo bisogno di una cerchia di amici di cui fidarci e con cui avere rapporti affettivi. «Ora, tutti questi fattori sono senza dubbio fonti di felicità. Ma perché l’individuo riesca a utilizzarli fino in fondo per garantirsi una vita felice e appagata, lo stato mentale è cruciale.
«Se sfruttiamo in maniera positiva circostanze favorevoli come la salute o la ricchezza, se cioè le usiamo per aiutare gli altri, esse possono permetterci di vivere una vita più felice. È chiaro che elementi come i mezzi materiali, il successo e così via ci danno godimento. Ma se non c’è il giusto atteggiamento mentale, se non ci curiamo del fattore mentale, queste cose hanno pochissima influenza sulla felicità a lungo termine. Possono provocare piacere a breve termine, ma non dipiù. Se, per esempio, coviamo nel profondo di noi stessi pensieri di odio e rabbia intensa, ci rovineremo la salute e quindi distruggeremo uno dei fattori. Se, inoltre, siamo infelici o frustrati sotto il profilo mentale, la buona salute fisica non sarà di grande aiuto. Al contrario, se riusciamo a conservare uno stato mentale calmo e tranquillo, potremo essere persone molto felici anche nel caso che la salute sia cattiva. Parimenti, chi abbia straordinarie ricchezze e sia però sopraffatto dalla rabbia o dall’odio avrà la tentazione di buttare e distruggere quelle ricchezze. Se lo stato mentale è negativo, i beni materiali non significano niente. Oggi vi sono società assai progredite dal punto di vista materiale, nelle quali però molti individui sono infelici. Sotto la bell’apparenza della prosperità serpeggia un’inquietudine mentale e un’insoddisfazione che induce le persone a sentirsi frustrate, a litigare per un nonnulla, a far uso di droghe o alcol e nella peggiore delle ipotesi, a suicidarsi. Perciò non vi è alcuna garanzia che la ricchezza possa, da sola, darci la gioia o l’appagamento che cerchiamo. Anzi, chi sceglie la ricchezza materiale come termine di paragone della propria vita, è destinato prima o poi a soffrire. Lo stesso si può dire degli amici. Quando ci troviamo in uno stato di collera o di odio intensi, perfino gli amici più intimi ci appaiono in qualche modo freddi, gelidi, distanti, dei veri e propri seccatori. «Tutto ciò indica quale enorme influenza lo stato mentale, il fattore mentale, abbia sul nostro modo di esperire la vita quotidiana.
È logico quindi che si debba prendere tale fattore molto sul serio. «Dunque, pur tralasciando la dimensione spirituale, è chiaro che anche in termini terreni, di semplice godimento di una serena vita quotidiana, maggiore sarà la nostra calma mentale, la nostra tranquillità d’animo, maggiore risulterà la nostra capacità di condurre un’esistenza felice e gioiosa», continua il Dalai Lama e poi aggiunse «Bisogna precisare che lo stato mentale calmo e la tranquillità d’animo non vanno confusi con lo stato mentale apatico e la totale insensibilità. Essere in uno stato mentale calmo e tranquillo non significa essere completamente distanti o vuoti. La pace del cuore, lo stato mentale calmo, affonda le radici nella simpatia e nella compassione. Vi è in esso un altissimo livello di sensibilità e sentimento». E alla fine concluse: «Se ci manca quella disciplina interiore che produce la tranquillità mentale, i mezzi o le condizioni esterni, quali che essi siano, non ci daranno mai la sensazione di gioia e felicità che desideriamo. Se invece possediamo quella qualità interiore che è la tranquillità d’animo, la stabilità interna, pur in assenza di molti dei mezzi esterni che di norma tendiamo a considerare necessari alla felicità, ci sarà sempre possibile vivere una vita lieta e gioiosa».
«A volte il giudizio sulla natura equa oppure smodata e negativa del desiderio dipende dalle circostanze o dalla società in cui si è inseriti. Tu che leggi, per esempio, vivi in una società prospera dove bisogna disporre di un’automobile per cavarsela nella vita quotidiana; perciò è chiaro che in tale contesto non è un male desiderare una macchina. Ma se si abita in un povero villaggio dell’India nel quale si può stare benissimo senza l’auto, e tuttavia se ne desidera una, anche se si avesse il denaro per comprarla alla fine si rischierebbero conseguenze negative, perché i vicini potrebbero provare un senso di fastidio. Oppure se si vive in una società prospera e si ha un’auto ma si continua a desiderarne di più costose, ecco lo stesso che insorgono analoghi problemi.»
Si potrebbe obiettare qui che il problema è del vicino che prova invidia e non di chi possiede la macchina grande. Ma a questo punto anche un assassino può provare un senso di soddisfazione nel momento in cui commette l’omicidio, ma ciò non giustifica il suo atto. Tutte le azioni non virtuose, come mentire, rubare, commettere adulterio e così via, nel momento in cui vengono compiute possono procurare soddisfazione all’individuo che se ne rende responsabile. La linea di demarcazione tra un desiderio o un’azione positiva e un desiderio o un’azione negativa non è data dal senso di immediata soddisfazione che essi danno, ma dalle conseguenze positive o negative che alla fine provocano. QuesTo è un punto cruciale.
Se per esempio vogliamo beni materiali più costosi e li vogliamo per un atteggiamento mentale che ci spinge a desiderare sempre più cose, alla fine raggiungeremo il limite di quanto è possibile acquisire (perché c’è sempre un limite) e ci scontreremo con la realtà. Quando si raggiunge tale limite si perdono tutte le speranze e si precipita nella depressione e in altri mali. Questo è uno dei pericoli insiti in questo tipo di desiderio.
Il Dalai Lama osserva ancora: «Penso dunque che il desiderio smodato conduca all’avidità, a una forma di brama che si basa su aspettative troppo grandi. Se si riflette sui suoi eccessi, si scoprirà che l’avidità procura all’individuo frustrazione, delusione e grande confusione, nonché tanti problemi. L’avidità ha una caratteristica peculiare: benché si manifesti come desiderio di ottenere qualcosa, non viene soddisfatta dal conseguimento dell’obiettivo. Perciò diventa in un certo modo illimitata, quasi senza fondo, il che genera problemi. L’avidità, ripeto, ha una proprietà curiosa, che suona ironica: per quanto si basi sulla ricerca di soddisfazione, anche dopo l’acquisizione dell’oggetto desiderato non dà contentezza. Hai presente il famoso criceto che corre sulla ruota? Il vero antidoto all’avidità è l’appagamento. Se abbiamo un forte senso di appagamento, non ci importa di ottenere o meno l’oggetto; in un modo o nell’altro, siamo ugualmente soddisfatti». Altrimenti siamo né più né meno del povero criceto che gira nella ruota.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!