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L’autocompassione è uno dei valori per me più importanti, ma anche uno dei più difficili da sviluppare. L’autocompassione è un sentimento composto da due elementi principali: la gentilezza verso sé stessi e consapevolezza.

Il modo in cui ognuno di noi parla a se stesso gioca un ruolo vitale per il proprio benessere. Sarebbe bello sentirsi accettati e persino supportati piuttosto che criticati dalla propria voce interiore. Il counseling filosofico utilizza la metafora del viaggio: “Se dovesse fare un viaggio con qualcuno per diversi decenni, quanto sarebbe importante la relazione tra voi due? Non sarebbe importante conoscervi per assicurarsi di andare d’accordo? Non vorrebbe assicurarti di instaurare una salda relazione positiva e di sostegno?”.


“Puoi cercare in tutto l’universo qualcuno che è più meritevole del tuo amore e affetto di te stesso, e quella persona non può essere trovata da nessuna parte.”

Buddha


Il modo in cui percepiamo una situazione non è mai la realtà oggettiva e molto spesso la nostra percezione della realtà può essere irrazionale. Abbiamo tutti i nostri filtri e stili esplicativi che dipingono l’immagine del mondo così come lo vediamo noi. Crescendo siamo stati condizionati dai nostri genitori o dalle persone che si prendono cura di noi nella prima parte della vita. A seconda di come hanno vissuto le loro vite, impariamo da loro come si vive la nostra. A seconda dei valori che hanno vissuto, è probabile che adotteremo certi valori piuttosto che altri per formulare un progetto per comprendere il mondo e viverlo secondo il nostro punto di vista.

I valori sono una raccolta di principi guida e determinano ciò che riteniamo corretto e desiderabile nella vita (Schwartz, 1992). I valori creano la nostra gerarchia inconscia attraverso la quale osserviamo e valutiamo gli altri e noi stessi come degni o ideali. Ad esempio, valori come responsabilità, apertura e rispetto hanno la tendenza a rafforzare le relazioni e fornire una base per il benessere e la creatività. Ma se questi valori non ci sono stati trasmessi, o lo sono stati in maniera sbagliata, o sono stati traditi dalle circostanze della vita, allora sarà facile impostare la propria esistenza lungo una direzione che porta lontano dal benessere e rischia di condurre all’infelicità propria e degli altri. A seconda del nostro ambiente e dei valori che ci hanno insegnato a crescere svilupperemo la nostra voce guida interiore, la quale ha la tendenza ad essere fortemente autocritica.

Prendiamo i valori con cui siamo cresciuti: se la nostra percezione di noi stessi non è corrispondente ai nostri valori (“Non ho fatto abbastanza bene, avrei dovuto fare meglio”) tendiamo a ritenerci indegni. A lungo andare, questa percezione soggettiva e autocritica di come viviamo questi valori ha un impatto sul nostro senso di autostima che a sua volta determina se la voce nella nostra testa è gentile e solidale o distruttiva e svalutante. Sfortunatamente, la percezione che abbiamo di noi stessi influenza anche il nostro comportamento, il che significa che continuando a ripetere a noi stesi che valiamo poco, creiamo la nostra profezia che si auto-avvera, ossia che non si è mai stati all’altezza del valore “abbastanza buono”. La ricerca ha scoperto che le persone che sono socialmente isolate spesso contribuiscono attivamente alla loro situazione, poiché sono più propense a mantenere aspettative negative relativamente al modo in cui gli altri le prenderanno in considerazione e quindi ad adottare un atteggiamento prevenuto e negativo piuttosto che focalizzarsi sulla promozione delle loro interazioni sociali (Cacioppo & Hawkley, 2005). Quindi, l’insicurezza può portare a ruminazioni auto-assorbite piuttosto che a un comportamento che migliora le prestazioni. Una spirale discendente che ha chiaramente un impatto negativo sulla nostra felicità e il nostro benessere a lungo termine. Viceversa, Diener e Seligman (2002) hanno scoperto che la differenza tra persone felici e infelici non è che questi ultimi si impegnano di più, partecipano più spesso ad attività religiose o sperimentano “buoni sentimenti” oggettivamente definiti. Di fatto, la differenza è risultata essere data dal fatto che i primi intrattengono buone relazioni sociali. Ciò non sorprende dal momento che la ricerca ha dimostrato più volte il bisogno psicologico umano e animale di appartenenza e di socialità. Ancora più importante, tuttavia, è la relazione che abbiamo con noi stessi. I nostri pensieri, e in particolare il modo in cui percepiamo noi stessi, hanno un forte impatto sul nostro benessere.

Piuttosto che cercare di cambiare i valori profondamente radicati in noi, possiamo ridurre l’impatto che essi hanno su di noi imparando a cambiare la visione che abbiamo di noi stessi, accettandoci per quello che siamo. Solo così potremmo amarci davvero. Al centro del lavoro con il critico interiore c’è l’idea di autocompassione. Autocompassione significa essere gentile, amorevole e comprensivo con se stesso, accettando il fatto di non essere perfetto e che esiste un potenziale di apprendimento e crescita in ogni errore che si fa.

Il problema è che per essere felici bisogna riuscire ad amare il prossimo, compreso chi non ci ama o ci fa del male. Per amare il prossimo è però essenziale amare se stessi, prima di tutto. Ma per amare se stessi è necessario aver sperimentato in maniera costante, solida, duratura, sicura l’amore di qualcuno per noi stessi. Che succede se questa esperienza non fa parte della nostra vita? L’amore non è qualcosa che si acquista un tanto al chilo, e che oltretutto ha prezzi abbordabili per chiunque. L’amore è molto diffuso, ma quello di qualità è rarissimo, e costa carissimo. Esso è presente in noi, e disponibile per essere diffuso agli altri, se qualcuno ce lo ha trasmesso. Quando abbiamo a disposizione sufficiente amore per sentirci sicuri, relativamente sereni e fiduciosi per il futuro e nei confronti del prossimo, allora il nostro inconscio ci permette di distribuire, con molta circospezione e prudenza, un po’ del nostro amore agli altri. Ma se gli altri non lo ricambiano, o, peggio, trascurano, disprezzano o mostrano indifferenza per il nostro amore, allora ci sentiamo traditi, truffati dalla vita: abbiamo speso un valore che per noi era importante, e non ne abbiamo ricavato nulla in cambio. Perché, al di fuori dell’ingenua filosofia New Age, l’amore non è mai disinteressato: l’amore va coltivato e diffuso non perché è un bene e un valore in sé, ma perché è produttivo di benessere, salute e felicità per tutti. L’amore ha un costo. Non viene regalato e non è disponibile a richiesta. Come ogni valore, esso va utilizzato in maniera corretta: se viene semplicemente distribuito senza alcun criterio, esso va in tutto o in parte perduto inutilmente. Diffondere l’amore è un’impresa nel senso tecnico del termine, che si fonda su un investimento umano, il cui valore è superiore a quello finanziario: esso richiede una precisa pianificazione perché l’investimento possa rendere in termini di diffusione. Altrimenti, è un patrimonio straordinario che viene buttato via.



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