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“Sono fatto così, non posso cambiare”, “Sai, noi [italiani, meridionali, milanesi, medici, avvocati, uomini, donne, della bilancia, della mia età, ecc.] siamo fatti così”, “Nella mia famiglia sono tutti così, me compreso. Non è colpa mia”, “È colpa del mio DNA, non posso farci niente”, ecc.

Quante volte hai detto tu stesso o sentito da altri queste frasi?

In genere vengono usate come scusa per non cambiare, per restare così come si è, senza sentirsi in colpa. Nella psicologa tradizionale esiste una diatriba lunghissima su quanto siano importante la genetica, l’ambiente e la storia personale, sulla formazione della persona. Personalmente non sono interessato a entrare in profondità in questo discorso, anche perché credo che tutte queste componenti giochino un ruolo importante nel definire chi siamo e come siamo. Penso soprattutto che non esista una regola unica. Conosco persone che per il loro DNA o per la loro vita personale, dovrebbero essere in un modo e invece sono l’esatto opposto. Ci sono perfino storie di fratelli gemelli che, nonostante siano nati nella stessa famiglia e abbiano avuto le stesse esperienze, sono poi diventati persone completamente diverse l’uno dall’altro. Io credo, come molti altri, che ci sia una parte, a volte piccola, a volte grande, nella quale noi siamo responsabili, nel senso etimologico di abili-a-dare-una-risposta, alla direzione da dare alla nostra vita. Forse all’inizio della tua vita, quando sei un neonato, la tua capacità di far la tua parte per determinare chi sei e cosa fai, è più piccola. Con il passare del tempo però diventi più grande e si ingrandisce la tua capacità di cambiare le cose, compreso te stesso.

Per cui “Sono fatto così. Cosa posso farci?” è solo una scusa per non mettersi davvero in discussione e rappresenta una realtà immodificabile a cui dobbiamo sottostare per forza. Chi pronuncia questa frase non tollera critiche, non esiste dialogo, né confronto. In sostanza il messaggio è: “Io non intendo cambiare e nessuno può farci niente”. Facendo così, la persona mette semplicemente in piedi degli schemi fissi e rigidi che li immobilizzano nel passato, impedendo loro di creare un futuro diverso dal presente. A dirla tutta, alcune delle doti essenziali dell’essere umano sono proprio flessibilità, adattabilità e plasticità. Abbiamo tutti la possibilità di apprendere non solo nuove abilità ed informazioni, ma anche nuovi comportamenti, nuovi modi di pensare, nuovi modi di approcciarsi alle situazioni.

Il problema delle frasi alla “io sono una persona che…” è che con poche e semplici parole, in apparenza innocenti, ci convinciamo che certi schemi di azione e pensiero siano per noi inevitabili. Così facendo confermiamo di continuo l’idea statica che abbiamo di noi stessi. Puoi impegnarti a crescere, migliorare, cercare di fare esperienze e soprattutto imparare a dare un significato a quegli eventi che subisci, senza averli scelti. La psicologia umanistica è una scuola di pensiero che si basa sul presupposto che noi possiamo sempre scegliere come reagire, anche se subiamo un’ingiustizia. Anche se siamo fatti così, possiamo evolverci, crescere e migliorare. Uno dei padri di questo movimento è stato prigioniero dei campi di concentramento nazisti, il suo nome è Viktor Frank ed è considerato oggi uno degli psicologi più influenti dello scorso secolo. Passò diversi anni della sua vita nei lager, in cui venne privato di qualunque libertà, anche le più basilari. Fu l’unico sopravvissuto della sua numerosa famiglia. Nel suo libro più celebre, ‘Uno psicologo nei lager’, racconta la sua tragedia e fa una considerazione coraggiosa e molto forte. Afferma che nonostante fosse privato della libertà e fosse diventato uno schiavo, in realtà non potevano toglierli la sua libertà più grande, cioè quella di pensare e di scegliere l’atteggiamento da avere nella vita. Mentre i suoi aguzzini erano i veri prigionieri, perché costretti a recitare un ruolo imposto da altri e non potevano pensare liberamente. Un esempio straordinario.

Ci sono tantissime persone, anche casi famosi, che hanno subito ingiustizie o tragedie ma non le hanno utilizzate per fare la vittima o per diventare a loro volta carnefici. Hanno scelto di andare oltre. Possiamo farlo anche noi, ovvero possiamo scegliere il significato che diamo alle cose che facciamo. Parafrasando Virginia Satir, importantissima terapeuta famigliare americana, “La vita non è quella che dovrebbe essere, la vita è quella che è”.

Va bene, ma allora cosa puoi fare se anche tu ripeti a te stesso e agli altri ”Io sono fatto così”?

La primissima cosa da fare è osservare se stessi. Non puoi davvero modificare te stesso se non hai consapevolezza. Pertanto comincia ad osservarti accuratamente, nei tuoi comportamenti quotidiani, nei gesti, nell’ascoltare i tuoi pensieri e le risposte che dai a persone e situazioni. Più ti osservi, più puoi accorgerti delle volte in cui ti incateni in un modo di pensare fisso e statico.

Il secondo passo, dopo essersi osservati… è agire! Ti sei accorto che hai un’idea statica di te stesso in un certo ambito? Scegli di darti una nuova possibilità e cambia! Fai cose diverse, pensa in modo diverso, sii diverso… vedrai che nuovi risultati arriveranno presto e che col giusto tempo avrai modellato te stesso in una nuova bellissima forma. Lavora sodo, ma datti anche tempo.

Infine il passo decisivo… affronta il disagio. Ogni volta che sperimentiamo qualcosa di nuovo e proviamo un certo disagio, una sensazione di incertezza, di timore o di paura, vuol dire che stiamo evolvendo. Ciò che ci è conosciuto e familiare ci fa sentire al sicuro (anche se spesso non ci porta da nessuna parte) mentre l’ignoto ci spaventa. In modo automatico siamo portati a evitare ogni dolore, perché siamo programmati per questo. Resteremo così nella nostra zona di comfort, che è tanto comoda e invitante, ma che non ci farà mai evolvere e crescere.

Concludo l’articolo con questa frase, di cui non ricordo l’autore:

“Il vero inferno è quando, nel tuo ultimo giorno di vita in questo mondo, conoscerai quella che sarebbe stata la migliore versione di te.”



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